lunedì 2 febbraio 2009

LETTERA DI UN BRIGANTE...EMIGRANTE


Ti lascio Patria mia ed affido al mare aperto questo messaggio, che Dio lo recapiti nelle giuste mani di un senziente, a memoria dei miei giorni andati e di quelli amari a venire.
Possa, chi mi leggerà, condividere i miei affanni, le mie lacrime e il mio desiderio di verità e diffonderla quando la menzogna cancellerà ogni traccia dell'eroismo e della passione di questo popolo fedele, di questa nazione della quale sono figlio e che da figlio ho onorato, amato e difeso secondo le mie possibilità.
Non ho rimpianti ma un solo rimorso: non essere morto con i miei compagni a Gaeta, in battaglia.
Francesco profetizzò che ci sarebbero rimasti solo gli occhi per piangere, infatti, è e sarà così, da ora e per le generazioni a venire; anche io sto piangendo, ancora oggi, dopo 10 anni di macchia qui, sul ponte del bastimento che si allontana da Napoli con lentezza estenuante, in questa eterna agonia; imploro la pace e vorrei chiudere gli occhi, annegarmi in questo mare.
A te che mi leggi, fratello o sorella, affido il mio onore, i miei ricordi, la pena, la rabbia e il brandello del nostro vessillo che svettava glorioso quale bandiera di civiltà sui pennoni più alti piantati nel cuore della mia Patria.
Ci invasero, ci occuparono, ci avvelenarono, hanno preso le nostre ricchezze, i nostri tesori persino la nostra dignità, la memoria; ci hanno chiamato beduini, africani... Loro... i veri barbari, i veri briganti...non li perdonerò mai!
Io che ho combattuto al fianco di
Ludovico Juandél e di tanti generosi eroi che erano il fiore all'occhiello della nostra onesta e coraggiosa gioventù.
Sevo negli occhi le immagini dei giorni andati del mio orgoglio; la vita semplice di re, soldati e sudditi che si dipanava nella magnificenza dei palazzi di Corte di Capodimonte, Napoli, Portici e Caserta ove ognuno di noi sentiva di essere a casa propria e di liberalmente godere di tanta bellezza, tanto fasto, tanta ricchezza avendone libero accesso per udienze e per qualsivoglia motivo con tutti i ministri del re.
Noi, ci si cibava di bellezza tra arte e miti, natura e cultura ed in quel clima ed in quei palazzi, che erano tra i più belli d'Europa, le sorti fauste della Nazione si accrebbero fino a falla diventare una potenza agli occhi del mondo. Erano le splendide regge, la casa e il sacrario del nostro popolo e di quei vilipesi Borbone che dal 1734 regnarono su questa terra, facendo del Regno di Ruggero II il Normanno, una nuova civiltà, in una Nazione compiuta... l'unica vera Nazione della penisola italica.
Per rendere completa la mia testimonianza, ma le lacrime mi bruciano gli occhi e la mano mi trema, ci portavano la libertà i signori stranieri, quella libertà che al Paese loro non è mai esistita perché era solo il confuso desiderio di riscatto dalla loro atavica miseria, era il nostro re ad essere considerato un despota non è vero? E allora, chiedetevi perché ad un despota sanguinario il populino ebbe l'offrire la vita e quell'inno verace che ancora oggi qualcuno, tra gli irriducibili, canticchia in sordina e furono chiamati ignobilmente "lazzari", ieri gli autori di quell'inno, oggi quel popolo è definito "razza di briganti", "banditi" e canta inni nuovi, ma sempre uguali nei contenuti, in tutta Europa il populino ha combattuto i suoi despoti, chiedetevi il perché solo da noialtri era l'inverso, ciò vi porterà sulla buona strada della consapevolezza e probabilmente rintraccerete le vostre radici, la nostra antica grandezza.
Io, ho amato, difeso e onorato la mia bandiera e se tornassi indietro rifarei pari pari il percorso che voi lo crediate giusto o meno, mi chiameranno "emigrante" quando sarò nelle Americhe ma la mia patria continuerà a vivere in me, la proteggerò ancora, nonostante tutto; ti chiedo di aiutarmi a farlo, cerca le verità sepolte e riportale alla luce, divulgale a chi ignora, prega per me, per l'alfiere napolitano Ettore Di Meglio... brigante... ed emigrante.



ETTORE DI MEGLIO

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